La mostra Metamorfosi Materiche, a cura di Leonora Sofia Marussig, raccoglie una serie di lavori esemplificativi dell’opera di Vito Bongiorno (Alcamo, 1963), in gran parte realizzata in occasione della mostra Superfetazioni tenutasi nel 2014 alla Centrale Montemartini, magnifico esempio di archeologia industriale la cui peculiare compenetrazione tra antico e contemporaneo si riflette nelle tele dell’artista siciliano.
Dodici silhouette di carbone replicano le sagome di altrettanti capolavori dell’arte classica, quasi fossero l’ombra di un’età dell’oro ormai irrimediabilmente distante. Altri cinque profili carbonizzati ricalcano le forme di elementi primitivi, antichi quanto l’origine della vita sulla Terra – il cerchio, la goccia d’acqua, la stella, le punte di lancia, le lacrime – che appaiono arsi, privi di vita, deteriorati dall’ineluttabile tramonto culturale al quale la storia e il disfacimento dei valori umani hanno condotto. Nelle evocazioni combuste di Bongiorno, la sostanza nera e scabrosa sostituisce l’essenza incorrotta di simboli arcaici, la viva cromia di opere etrusche, il candore e la levigatezza delle sculture antiche mutandone considerevolmente la forma e il contenuto. Il carbone, medium extrapittorico dal potente significato concettuale, produce un cortocircuito visivo: la materia di cui sono composti oggetti familiari subisce, sulla tela dell’artista, una metamorfosi involutiva, una decomposizione che rievoca il processo di formazione del carbone stesso, originato dalla degradazione di materiale organico.
L’artista stesso afferma che “l’arte è tutto ciò che ci circonda dalla prima luce fino all’inizio dell’intenso buio”. È quindi il carbone che porta con sé la propria storia tangibile, l’evidenza di una materia, il legno, passata dallo stato vegetale a quello fossile. Ma se l’impiego di questo materiale come combustibile rappresenta la causa principale dell’effetto serra e del surriscaldamento globale – come suggerisce l’installazione Terra Mater – è anche vero che il carbone come materia emana un fascino speciale. Questa ambivalenza di senso è ciò che interessa l’artista e che lo porta a concepire le sue opere come risultato del degrado ecologico e umano del nostro pianeta, ma anche come permanenza atavica capace di contenere ancora bagliori di luce e di rinascita. Il carbone, quindi, contiene nella propria struttura fisica e non solo a livello di metafora, il buio e la luce, la notte e il giorno, la catastrofe e la rinascita.
L’esito più logico e naturale di questa metamorfosi degenerativa della materia vedrebbe l’irreversibile trasformazione del carbone in polvere, cui allude l’uso della cenere nell’impasto pittorico. Tuttavia, così come il combustibile fossile impiegato da Bongiorno è una preziosa risorsa energetica e solo apparentemente una roccia sedimentaria priva di vita, allo stesso modo la condizione logora del presente contiene in nuce la scintilla vitale in grado di fornire lo stimolo necessario al suo stesso risanamento attraverso il recupero delle qualità morali perdute, simbolicamente incarnate dai virtuosi eroi marmorei della collezione capitolina, ora corrotti e in attesa di riscatto.